«Lo Spagnoletto intingeva il suo pennello con il sangue di tutti i santi». Così, nel 1824, nel suo incompiuto Don Juan, Lord Byron descriveva l’arte di Jusepe (José) de Ribera, il grande pittore spagnolo (1591-1652) che visse e lavorò a Napoli. Erano passati due secoli, ma il pittore che amava ritrarre i più crudeli martirii e le più impietose rughe dei vecchi, ormai si era cucito addosso la fama di tenebroso e brutale. Quell’aura lugubre, alimentata anche dalla critica romantica, che vedeva l’arte barocca illuminata dai cupi bagliori dell’Inquisizione, è stata in parte rischiarata dalla grande retrospettiva che Nicola Spinosa e Alfonso Peréz Sánchez gli hanno dedicato a Capodimonte e al Prado nel 1992. Negli anni seguenti, studi e documenti inediti hanno però spianato la strada a una nuova importante mostra, da poco inaugurata al Prado, che scrive un sorprendente capitolo della vita del pittore.
La rassegna, dedicata esclusivamente al periodo compreso tra il 1610 e il 1622, analizza la prima attività di Ribera, arrivato da Valencia in Italia a soli diciannove anni. È noto che lo Spagnoletto, prima di trasferirsi definitivamente a Napoli nel 1616, aveva soggiornato cinque anni a Roma.