«La curiosità (…) evoca la “cura”, l’attenzione che si presta a quello che esiste o potrebbe esistere; un senso acuto del reale, che però non si immobilizza mai di fronte a esso; una prontezza a giudicare strano e singolare quello che ci circonda; un cer to accanimento a disfarsi di ciò che è familiare e a guardare le stesse cose diversamente; un ardore di cogliere quello che accade e quello che passa; una disinvoltura nei confronti delle gerarchie tradizionali tra ciò che è importante e ciò che è essenziale (Foucault 1980a, pp. 141-142).
Questo passaggio rende molto bene quella che, a mio avviso, costituisce la cifra delle ricerche foucaultiane: la curiosità, intesa non come tentativo di assimilare l’oggetto conosciuto, ma come capacità di distaccarsi da sé (cfr. 1984a, pp. 13-14), dalle proprie certezze e aspettative, lasciandosi sollecitare dalla realtà, anche quando essa mostra i tratti dell’alterità irriducibile alle categorie con le quali la si interroga. Questa sensibilità nei confronti dell’alterità si traduce in Foucault non solo nella tendenza a porre nuovi generi di domande e intraprendere nuovi tipi di indagine, ma anche nella disposizione a riesaminare continuamente i risultati raggiunti, effettuando revisioni talvolta profonde dei propriparadigmi teorici […]»