Esteri
Rivolte, ora tocca al Marocco?
di Alessandro Agostinelli
Dopo la caduta di Ben Ali e Mubarak, anche la monarchia di Muhammed VI è a rischio? Non se saprà fare concessioni e riconoscere ai giovani un maggiore ruolo sociale. Colloquio con Ahmed Habouss, docente all’Orientale di Napoli
(17 febbraio 2011)
A un centinaio di chilometri dalle coste siciliane il Nordafrica sta vivendo una stagione di rivolta che ha già portato al cambiamento due importanti Paesi come Egitto e Tunisia. La Libia è sulla scia, ma che cosa accadrà in Marocco? Ne abbiamo parlato con Ahmed Habouss, docente di antropologia berbera all’Università Orientale di Napoli.
Professor Habouss, anche in Marocco la monarchia è a rischio? Ci saranno rivolte popolari?
Il Marocco fa un po’ storia a sé. I marocchini da secoli considerano la monarchia un punto di riferimento forte, anche se la sinistra e parte della società civile vorrebbe delle riforme monarchiche alla spagnola. Muhammed VI è arrivato al trono nel 2001 e ha ereditato una società bloccata a tutti i livelli. Ha provato a fare delle modifiche alla Costituzione, ma il suo progetto è incompiuto. Il Paese risente della crisi economica e c’è un po’ di corruzione diffusa, ma la società civile è fortissima, con gruppi organizzati, cooperative, ecc. C’è un tessuto sociale che può interagire con la politica e modificare piano piano la situazione. Nella Moudawana, lo statuto della famiglia, ci sono state innovazioni per le donne che ora possono divorziare, gestire e dare il nome ai figli, andare all’estero. Tutto questo deriva dalla lotta e dalla tenacia delle donne marocchine. E poi sotto il re attuale sono state create molte infrastrutture, smantellando le bidonville, anche se non è ancora intervenuto per mitigare le grandi differenze tra il mondo rurale e il mondo urbano.
Il Paese ha una ricchezza più diffusa degli altri Paesi nordafricani?
Come ho detto le infrastrutture sono abbastanza buone, anche nel settore della regimazione delle acque. Perciò l’agricoltura è fiorente. C’è un ottimo e fiorente artigianato e qualche degna attività industriale. Le scuole sono buone e alcune università sono importanti. Ci sono anche progetti di innovazione che piacciono alle frange più evolute della società. Ora, per esempio, vogliono costruire una nuova città tutta con materiali ecosostenibili ed energie rinnovabili. Soprattutto c’è tanta solidarietà di base e il sapere locale cerca di integrarsi con le conoscenze occidentali.
Quindi cosa succederà adesso in Marocco?
Non si sa mai, ma credo di poter escludere una rivolta di tipo egiziano. C’è una frustrazione giovanile che per ora sembra sotto controllo, anche se una maggiore alfabetizzazione potrebbe fare da sostrato ad alcuni gruppi paraterroristici, che potrebbero essere percepiti come avanguardie sociali. Adesso lo Stato deve aprire maggiormente alla creatività giovanile. Serve un ricambio generazionale nelle istituzioni, bisogna far entrare i giovani. Questo credo aiuterà il ricambio morbido. Un ruolo dovrebbero svolgerlo anche i 4 milioni di marocchini all’estero. Non sono tutti clandestini… Molti sono professionisti, commercianti, impiegati e possono dare un contributo all’ammodernamento del Paese. L’80% di questi 4 milioni vivono in Occidente, quindi sono avvezzi alla democrazia.
Allora d’ora in avanti i popoli a sud del Mediterraneo guarderanno con maggiore attenzione all’Europa, o si rivolgeranno verso l’Islam?
L’Occidente ha fatto grandi errori, anche ultimamente. Alcuni poteri forti come la Banca mondiale auspicavano, anche in Marocco, uno Stato svuotato delle sue funzioni, ma non va bene. L’Egitto e la Tunisia ne sono la dimostrazione. Non si può pianificare semplificando la società civile. In Marocco la società è complessa e articolata e per ora ha resistito. Io credo che la testa dei marocchini guarderà all’Europa e alla Cina per capire dove stanno i diritti e dove va il mondo, e forse il cuore di qualcuno guarderà al Medio Oriente. Ma la dimostrazione è l’esodo di questi giorni verso l’Italia dei disperati tunisini. Nessuno si è diretto verso Oriente. Mi ha colpito molto la frase di un tunisino che ha detto: “Se Ben Ali guardasse la Mecca, noi cambieremmo direzione”. È un’affermazione forte. Moltissimi pregano ma poi escono di casa, prendono l’auto, entrano in banca, fanno mediazioni commerciali, portano il figlio a scuola. Se penso a questo non mi preoccupo.
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